Lago dei Sabbioni 2466m - Rif. Claudio e Bruno 2713m - 30.07/01.08.2010
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PRIMO GIORNO - Appuntamento a Marchirolo alle h 8:00 per una due giorni in Val Formazza. Primo giorno: partenza dalla diga di Morasco (1815m) e pernottamento al rifugio Claudio e Bruno (2713m); secondo giorno: salita al rifugio 3A (2960m), per raggiungere la sella posta a 50 metri più in alto e superare così i 3000 metri, discesa al rifugio Città di Busto (2482) per il pranzo, e da qui ritorno al posteggio sotto la diga di Morasco. È una bella giornata di sole, c’è poco traffico ed è già mattino inoltrato quando, attraversata tutta la Val Formazza, superiamo il paese Walser di Riale, e ci fermiamo in un ampio spiazzo ai piedi della diga. Ci incamminiamo sulla strada privata dell’ENEL, e costeggiando tutta la sponda destra del lago, arriviamo alle foci del Rio del Sabbione, dove termina la strada. Incuranti del divieto di circolazione per i mezzi non autorizzati, molte sono le auto parcheggiate, e tanti sono gli escursionisti che si muovono sui diversi sentieri. Per raggiungere il rifugio Claudio e Bruno ci sono due possibilità: il vecchio sentiero, ufficialmente chiuso per frane, che sale in modo diretto costeggiando il Rio del Sabbione; ed il nuovo sentiero, quello consigliato, che sale verso l’Alpe Bettelmatt (2112m), per poi tagliare verso il rifugio Città di Busto (2482m) e da qui scendere al baitello Zumstok Hütte (2210m) dove si unisce al vecchio sentiero. Noi optiamo per il vecchio perché più corto e per la presenza di stelle alpine che Marino ricorda di aver notato in una precedente escursione. Guadato il Rio del Sabbione, e, superato un vecchio cartello giallo, che adagiato sul prato, ci ricorda di evitare il sentiero per il pericolo di caduta massi, iniziamo a salire seguendo la traccia che si snoda sul costone roccioso del fiume. Facendo molta attenzione nei punti più esposti, raggiungiamo il primo pilone della teleferica, e scorgiamo e fotografiamo le prime stelle alpine. Proseguendo sul sentiero, raggiungiamo il baitello Zumstok Hütte (2210m) dove ci fermiamo per una pausa caffè. Continuiamo a salire, fino ad arrivare agli impianti dell’ENEL e quindi alla diga dei Sabbioni (2466m), e, trovato un posto adatto, consumiamo il pranzo insieme ad una marmotta che si aggira curiosa, ma a debita distanza. Il panorama che si apre davanti a noi è da favola: il ghiacciaio, esaltato dalla forte luce del sole, sonnecchia adagiato tra la Punta d’Arbola (3235.3m) e la Punta del Sabbione (3182m), e le acque tranquille del lago riflettono tutti i colori del cielo. Quando fu ultimata la diga nel 1953, il ghiacciaio si tuffava nel lago occupandone i ¾ del volume attuale. La costruzione dello sbarramento ne ha accelerato l’arretramento ed ora uno spesso strato di detriti separa il ghiacciaio dalle acque del lago. Per rendersi conto dell’arretramento dei ghiacciai, basta pensare che la lingua glaciale si è arretrata di 1600 metri nell’ultimo secolo. La diga del Sabbione (2466m) è il serbatoio più ampio della Valle. Lunga 300 metri e alta 60, contiene oltre 400 milioni di metri cubi di acqua. È molto bello starsene al sole ad ammirare il paesaggio, ma data l’ora, decidiamo che è tempo di rimettersi in cammino. Attraversata la diga, imbocchiamo il sentiero che, costeggiando per intero il lago dei Sabbioni, ci conduce al rifugio Claudio e Bruno (2713m). Di proprietà dell’Operazione Mato Grosso, un movimento spontaneo di giovani nato da una proposta di Padre Ugo De Censi, prete salesiano e parroco di Chacas, un paesino peruviano ai piedi delle Ande, è aperto a chiunque voglia farne parte senza preclusioni ideologiche né religiose. Nello store si possono acquistare capi di abbigliamento a prezzi scontati il cui ricavato andrà alle popolazioni del Mato Grosso. Mi ha colpito una scritta su una parete: “Salire verso l’alto per aiutare chi stà in basso”. Ci accoglie il gestore che, fatta la registrazione, ci accompagna alla camera a noi destinata. Prendiamo posto e scendiamo nella sala pranzo. L’atmosfera è accogliente e molti sono i giovani volontari che aiutano ad apparecchiare e a servire tra i tavoli. La cena è molto buona: minestra calda, polenta e spezzatino, dolce e caffè. Dopo cena, esco fuori e mi siedo su un sedile di pietra per un ultimo sguardo al ghiacciaio. Scende la sera al rifugio Claudio e Bruno e i pensieri si muovono leggeri a seguire rosse nuvole che si spengono piano nel buio della notte che avanza, lasciando il posto a milioni di stelle. Il freddo intenso mi fa rientrare e, raggiunto il tavolo, dove Marino sta discutendo con altri due commensali, bevo un tè caldo. Ci soffermiamo a parlare ancora per un po, prima di salire in camera. La stanza, che dividiamo con altri tre escursionisti, è abbastanza grande e finalmente posso sdraiarmi. Non vedevo l’ora, la giornata è stata lunga e faticosa, ma ricca di forti emozioni.
SECONDO GIORNO -
Mi fa risvegliare un escursionista che si alza per andare a fotografare l’alba. Prendo la macchina fotografica e lo seguo, non voglio perdermi lo spettacolo. Il cielo rigato solo da qualche nuvola, ci fa sperare in un’altra giornata di sole. Scatto qualche foto nel freddo pungente del mattino e rientro. Scendiamo ben presto per fare una ricca colazione e risistemati gli zaini, ci rimettiamo in cammino: direzione Rifugio 3A (2960m). A parte l’ultimo tratto veramente ripido, il sentiero sale dolcemente tra prati, sfasciumi e morene. Superiamo una marmotta che ci guarda dalla tana, mentre un cracco si posa su una pietra davanti a noi e si ferma a guardare il lago, prima di riprendere il volo. Il paesaggio, avvolto nei caldi colori del mattino è veramente bello, nell’aria si respira un senso di pace e di libertà ed il silenzio è rotto solo dall’antico rumore dei ghiacciai. Un ultimo sforzo e arriviamo al Rifugio 3A (2960m). Anche questo rifugio fa parte dell’Organizzazione Mato Grosso. Non ci fermiamo, ma continuiamo a salire verso un ometto ed una statua che scorgiamo su di un’altura. Superiamo dei ragazzi, che con lenti movimenti, data l’altezza, si aggirano sul Ghiacciaio del Siedel. Scopriamo che sono dei volontari che con una carriola e con tanta volontà, stanno spostano la neve in una zona dove purtroppo il ghiacciaio non c’è più, e da dove partono i tubi che alimentano il rifugio, per questo rimasto senza acqua. Raggiungiamo la statua,che rappresenta un Cristo con le mani aperte verso il cielo, siamo a 3010 metri ed il panorama che si presenta ai nostri occhi è indescrivibile: La giornata è fantastica e nel cielo terso si vedono persino le inconfondibili punte del Rosa. Verso Sud domina il ghiacciaio del Sabbione; a Est il Corno di Ban che si erge dal Lago del Sabbione, i piccoli gemelli di Ban, la Cima Castel, il lago Toggia, e i laghetti del Boden; verso Nord si ergono maestosi il Corno Gries, il Corno di Brunni e la punta dei Camosci; ad Ovest a chiudere questo cerchio immaginario, i resti del ghiacciaio del Siedel, purtoppo in forte ritiro. Che spettacolo!! Ci soffermiamo per un po’ ad ammirare il paesaggio e dopo un caffè ci rimettiamo in marcia. Raggiungiamo il rifugio 3A e iniziamo la discesa costeggiando il Ghiacciaio dei Camosci. Non c’è un sentiero e bisogna stare molto attenti sul pendio molto ripido. Proseguiamo su roccette, sfasciumi e pietraie, fino a raggiungere una lingua di ghiaccio che ci crea qualche difficoltà, e che, con la dovuta cautela, riusciamo ad attraversare. Più in basso, incontriamo un lungo canalone innevato, che percorriamo lentamente, non conoscendo la consistenza della neve. Tiriamo un sospiro di sollievo quando ne usciamo fuori e finalmente riusciamo a mettere i piedi sulle rocce. Adesso davanti a noi, si apre un’immensa pianura, il Pian dei Camosci (2470 m), che assomiglia molto agli altipiani del Tibet. Attraversiamo la distesa percorsa da diversi canali di acqua, e dopo una leggera salita, arriviamo al Rifugio Città di Busto (2482), dove ci fermiamo per il pranzo. Riprendiamo quasi subito il cammino, il cielo che si sta annuvolando non promette niente di buono, imbocchiamo il sentiero che scende ripido fino al baitello Zumstock Hutte (2210) e ripercorrendo la strada fatto all’andata, ci riportiamo alla macchina non prima di aver consumato un ultimo caffè sulle rive del Rio dei Sabbioni.
L’escursione mi ha veramente colpito per la bellezza e l’asprezza dei paesaggi. Marino c’era già stato in questi posti, ma io era da tanto tempo che aspettavo di fare questo giro, e ogni volta che andavo al Passo del Corno (2500m), mi sedevo a guardare il ghiacciaio del Gries, e col pensiero salivo per i bianchi pendii, fino a raggiungere il Corno Cieco, per poi superarlo e scendere nelle valli sottostanti ad immaginare paesaggi fantastici dominati da laghi glaciali e da perenni ghiacciai. Oggi finalmente questo mio desiderio si è realizzato.